C'era una volta
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Il Cane che porta il pranzo al suo Padrone  

 
Mal resiste il cuore al dardo d'un bel guardo, ed alla vista d'un sacchetto di denaro troppo raro è trovare chi resista.

Soleva un Can portare in una cesta al collo il pranzo del suo buon Padrone. Per quanto temperante a suo dispetto ei sapesse resistere al boccone, non era un santo padre, poveretto, e nel suo pelo, dite, o gente onesta, se non vi tenterebbe un buon pranzetto... Strano davvero che s'insegni ai cani, ciò che non sanno fare i cristiani.

Andando questo Cane un dì col pranzo, s'incontra in un mastino prepotente che pretende la sua razion di manzo. Ma fece i conti senza l'oste. Il cesto colloca in terra il nostro Cane onesto e si prepara ad una lotta ardente.

Ne nasce un gran fracasso, e chiama il chiasso molti altri cani che andavano a spasso. Erano cani vagabondi, avvezzi ad ogni calcio, ad ogni ladreria. Il nostro Can, vedendo ch'eran pronti a sbranarlo quei mostri in cento pezzi, e che il manzo era fritto in fin dei conti, da saggio disse a quella comitiva:

- Amici, andiamo adagio; un po' per uno, dice il proverbio, fa male a nessuno -.

E presa la sua parte, lasciò il cesto agli altri cani che addentâr il resto. In quattro colpi fu tabula rasa. Chi stette peggio fu il Padron di casa.

O città grandi, o piccole città, che mettete il denaro della gente in mani, Dio lo sa, quanto leste a giocar d'agilità: censori, appaltatori e fornitori, comincia il più valente, e ruban tutti di dentro e di fuori. Se alcun men disonesto e men briccone vuol salvarsi e minaccia di parlare, gli mostran ch'è un minchione. Al consiglio anche lui quindi si arrende, acqua in bocca, rubare fa rubare, e più degli altri prende.