C'era una volta
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I Topi e il Gufo  

 
Non bisogna creder mai di contar cose sublimi alla gente.

Come vuoi che ognuno estimi egualmente tutto ciò che tu dirai?

Una prova assai sincera noi l'abbiamo in questa istoria, che sembrar può inverosimile ed è vera.

Abbattevano un pin, vecchio palazzo, asil oscuro e tristo a quell'uccel che d'Atropo è messaggier sinistro.

E dal suo vecchio tronco rosicchiato dal tempo, insiem a molti altri inquilini, grassi, rotondi uscirono, ma coi piè mozzi, alcuni topolini.

Il maledetto Gufo avea col becco mutilate le bestie e le nutria di gran, di pan, di briciole, in casa con squisita cortesia.

La brutta bestia in altre circostanze avea veduto i topi prigionieri, se appena lo potevano, dalla prigion scappare volentieri.

Onde trovò il rimedio, man man che ne pigliava sulla via, di romperne le gambe e poi con comodo mangiarli e così via.

Non si voleva prendere l'affanno di mangiarli in un giorno, ed anzi il caso, oltr'essere impossibile, poteva alla salute esser di danno.

Dié segno dunque d'una previdenza, che non si dà l'eguale, sto per dire, neppure in mezzo agli uomini.

Pei topi fu una mezza provvidenza: ché li serviva a tavola con tanta carità, che a un cartesiano, per cui tutto non è che un meccanismo, dovea parer quel Gufo un poco strano.

Se non era ragion che consigliavalo ad ingrassar quei topi nella stia e a romperne le gambe, non so più la ragion che cosa sia.

Ei pensava così: - Poiché mangiarli non posso in una volta ed essi scappano, pel pranzo di dimani bisogna ben ch'io pensi a conservarli.

Però togliendo ai topolini i piedi, o saggio Gufo, al caso tuo provvedi -. Dite voi se Aristotele ed i sui ragionavano meglio di costui.