C'era una volta
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Giove e i Fulmini  

 
Giove un dì dall'alto scanno, i peccati rimirando, che dagli uomini si fanno, - Fino a quando, - prese a dire, - questa razza soffrirò? D'altra gente riempire men noiosa il mondo io vo' -.

E a Mercurio: - Va', precipitati all'inferno, e la più feroce tirane delle Furie e fa' che tutta questa gente sia distrutta in eterno -. Ma il comando non finì che il buon padre si pentì.

Prenci e re, mi raccomando, voi che siete Numi in terra, del furore tra il baleno e il discender delle botte deh! lasciate in mezzo almeno l'intervallo d'una notte.

Va quel dio che ha l'ali ai piedi e la lingua lusinghiera, e discende ove Tisìfone con Megera, con Aletto fanno il ghetto.

Sorge Aletto, e con perverso giuramento, si propone di tirare l'universo nella casa di Plutone.

Padre Giove, il giuramento della Furia cancellò e nel buio la ricaccia. Quindi fa l'esperimento di scagliare una saetta per minaccia dell'olimpica vendetta.

Dalla man di un Dio sì buono, padre giusto dei viventi, con frastuono passa il fulmine sopra il capo delle genti, e va a rompersi lontano sopra l'erta d'una rupe alta e deserta. Un buon babbo pesta piano.

Sulla via dell'indulgenza prese l'uomo confidenza e fe' peggio ancor di prima. Il padrone delle nuvole altre lima più terribili saette, ma gli dèi lo persuadono l'ira sua pigliando a gabbo, di star pago al suo mestiero di buon babbo.

Venne innanzi allor Vulcano e a far fulmini dié mano di diversa qualità. I migliori, intendo quei che non dànno mai perdono, dal lor trono ce li scagliano gli dèi: quei che fanno inutil prove e si pèrdono qua e là sono i fulmini di Giove.